martedì 16 marzo 2010

Perché ho deciso di mettermi in lista, con Civitas Leonicena













La cultura è un investimento, l’arte un alibi, lo spettacolo un applauso.
Lonigo per tutti, Civitas per Lonigo!



Siamo stati abituati, fin dalla tenera età, a ricevere gli esempi dai più grandi; dapprima dai genitori, poi dai maestri delle elementari, dal parroco, dai professori, fino ad arrivare all’età matura, momento in cui, giocoforza la politica diventa o dovrebbe diventare maestra di vita; movimento di ideali dove ognuno di noi tende a riconoscersi. Dove si ripongono progetti ambiziosi, dove ci si mette in discussione e dove si diventa un esempio da seguire per gli altri!

Vi chiedo ora, che esempi politici abbiamo avuto in Italia da un trentennio a questa parte. Vi chiedo quanti di Voi sono ancora convinti che la prima Repubblica sia terminata. La verità è che non è mai terminata, è stato un trasformismo politico per intorpidire ancor più le acque e poter continuare a muoversi meglio di prima. Figure politiche ormai bruciate si sono ripresentate sotto forme diverse. Non è cambiato nulla, solo il nome.

In questo lasso di tempo, la fantapolitica di tangentopoli, la collusione con la mafia, la corruzione e la politica a luci rosse, hanno di fatto allontanato i giovani dalla politica. Non esistono più leader degni di chiamarsi tali. Non esiste più la coerenza e la costanza. Non abbiamo più certezze.

Allora mi chiedo: perché non cominciare dal basso a dare l’esempio, dalle piccole realtà. Il Veneto ne è capace. Il Veneto guida una parte importante dell’economia europea. Possiamo farcela! La gente ha bisogno di certezze, di garanzie, di persone che si impegnino sulla parola data. Basta con i trasformismi e le evoluzioni; si passa da un partito all’altro con una promiscuità che dà la nausea.

Una volta chi votava M.S.I., si è visto costretto, ad un certo punto, a votare A.N. e poi a dare il voto allo stesso credo votando P.D.L. Lo stesso è accaduto nella sinistra. Questo si chiama caos, marasma, confusione che genera confusione e incertezza, con il risultato di allontanare le persone dalla politica e ad esprimere voti di protesta. Ci vuole coerenza e fermezza, determinazione. Occupandomi di giornalismo, avevo intervistato anni fa, Paolo Rosin e le cose che diceva a quel tempo sono quelle che continua a ripetere oggi. Un esempio di coerenza, non certo come l’ex sindaco Giuseppe Boschetto che un giorno dell’ultima settimana di febbraio, sul G.d.V. dichiara che è impossibilitato a candidarsi per problemi in famiglia e dopo solo 4 giorni si smentisce candidandosi per il PD.

Stanco di lamentarmi delle varie amministrazioni che hanno nel tempo hanno svolto l’interesse di pochi, a danno della collettività, ho deciso di mettermi in discussione candidandomi come consigliere nella lista civica Civitas Leonicena. Mi metto in gioco, senza scheletri nell’armadio e con una grande voglia di costruire qualcosa per questo paese assieme a Paolo Rosin e la nostra lista, fatta di persone semplici, che non hanno interessi privati in municipio.
Se potessi attuare i miei progetti concretamente per la mia cittadina, restando fuori dalla politica, lo farei col cuore, ma questo non è possibile. Ci vuole un’amministrazione sensibile con la quale condividere e sviluppare i progetti fino a raggiungere gli obiettivi per il bene di Lonigo e dei leoniceni.

Lonigo attraverso lo sviluppo della cultura, deve diventare il polo di attrazione primario del Basso Vicentino con nuovi spazi per i giovani che saranno coinvolti nei vari progetti; Lonigo deve vedere rivalutato lo sport, la sicurezza, la salute, non dimentichiamoci che il nostro ospedale ci è stato tolto e ciò che resta andrà a morire lentamente. L’ambiente, la discarica la rivalutazione dell’economia del paese fornendo nuova linfa per i commercianti. La ridistribuzione di risorse economiche in modo equo e non arbitrario. La riqualificazione della Protezione Civile con più spazi per i loro interventi.


Paolo Maria Coniglio

mercoledì 4 novembre 2009

I danni del berlusconismo craxiano

Ci sono persone che occupano ruoli istituzionali, pubblici e sociali cui non è ancora chiaro che la gestione della cosa pubblica è leggermente diversa dalla cosa privata. Produrre utile e svolgere un servizio sociale e pubblico sono due cose scisse. Credo che qualcuno debba scusarsi con i Cittadini Leoniceni.


Quest'estate ho scritto alla presidente della Biblioteca di Lonigo, Emanuela Bragolusi, chiedendo la strada corretta da percorrere per presentare presso la Biblioteca Civica di Lonigo, che non è privata, il mio ultimo libro di narrativa dal titolo "All'ombra degl'ippocastani". Pubblico integralmente il testo della mail, nascondendo per evidenti ragioni di privacy i vari indirizzi.


Gio 30/7/09, Paolo Maria Coniglio ha scritto:


Da: Paolo Maria Coniglio
Oggetto: Richiesta presentazione libro scrittore leoniceno
A: Em
anuela Bragolusi
Data: Giovedì 30 luglio 2009, 12:31

Gentile Signora Bragolusi La disturbavo per chiederle quale strada debbo percorrere per presentare l’ultimo mio libro di narrativa “All’ombra degl’ippocastani”. Ho avuto il Suo contatto telefonando in Biblioteca Civica.

In allegato le trasmetto la copertina del libro in modo che possa avere un’idea dello spessore dell’opera. La Prefazione è a cura dello scrittore e drammaturgo Pier Antonio Trattenero.

In attesa di Suo gentile riscontro La saluto cordialmente.


RISPOSTA:


Da: Emanuela Bragolusi
Inviato: sabato 1 agosto 2009 17.54
A: Paolo Maria Coniglio
Oggetto: R: Richiesta presentazione libro scrittore leoniceno

Gentile Paolo Coniglio,
le spiego la situazione.
Noi riceviamo molte richieste di autori locali per la presentazione di loro libri in biblioteca.

Il problema è che una serata in biblioteca "costa": costa soldi (locandine, pubblicità e spese generali), costa energie (personale a disposizione, pratiche burocratiche...), per cui io valuto di solito il possibile ritorno, in pratica: la cosa interessa alla gente? Di solito, alla presentazione di questi testi partecipano familiari e amici dell'autore, pochissimo è il pubblico "esterno", per cui la cosa finisce per essere autoreferenziale.
Anche nella scorsa annata, ho detto no a molte richieste, anche di personaggi in vista della vita leonicena, attirandomi naturalmente molte inimicizie.
Comunque: la prima cosa è farci avere il testo. A scatola chiusa non è certo possibile accettare niente: magari lei ha scritto un'apologia del partito nazista!!!!!!!!!

lo leggerò (e sono una critica severa), poi le farò sapere. Magari potremmo presentarlo insieme con un altro autore locale, ma non è una promessa.
Che poi io ammiri chi si dedica alla scrittura invece che allo sballo del sabato sera, è cosa certa.
Cordialmente
emanuela bragolusi

Il giorno 16 novembre 2009 mi giunge ulteriore mail dalla Signora Bragolusi:

Da: Manuela Bragolusi Inviato: lunedì 16 novembre 2009 22.22:

Oggetto: marzo

Gentile Paolo Maria Coniglio,

ho letto il suo libro "All'ombra degli ippocastani". Immagino che a lei non interessi il giudizio di una persona fredda ed insensibile come la sottoscritta, per cui non le faccio perdere tempo. Le posso dare però una bella notizia: a marzo ci saranno le elezioni, da cui usciranno il nuovo sindaco e la nuova amministrazione. Verrà poi nominato un nuovo presidente della biblioteca, che sarà certamente più attento di me alle istanze culturali. Lei potrà quindi rivolgersi a lui/lei fiduciosamente, con la certezza di avere la giusta soddisfazione. A dicembre in pratica io chiudo con le attività culturali, soprattutto per i gravi problemi di personale della biblioteca. Ci sarà una parentesi in febbraio con Tiziano Scarpa, ma ormai il mio compito è finito. Ringraziandola per aver fatto dono alla biblioteca del suo libro, le invio cordiali saluti

emanuela bragolusi

Rispondo pubblicamente alla gentile presidente, Signora Emanuela Bragolusi:

Almisano di Lonigo 23 novembre 2009 ore 15:24

Gentile Signora

La ringrazio per avere letto il libro "All'ombra degli ippocastani". Il mio libro si intitola invece "All'ombra degl'ippocastani", la locuzione è differente e più scorrevole, solo per fare riferimento alle Sue parole quando scrive testualmente "Verrà poi nominato un nuovo presidente della biblioteca, che sarà certamente più attento di me alle istanze culturali".

Le auguro di tutto cuore tanta fortuna.

Paolo Maria Coniglio


mercoledì 21 ottobre 2009

Bossing, mobbing, straining: il silenzio degli innocenti



Ho scritto e pubblicato questo articolo su Agoravox, Vi invito a leggerlo assieme ai commenti dei lettori. Buona lettura.





Comportamenti subdoli e vigliacchi adottati dalle aziende per eliminare, annientare e distruggere un dipendente. E’ arrivato il momento di alzare la testa e dire basta, i mezzi, pochi ma ci sono e funzionano.
La nostra giurisprudenza, non prevede norme efficienti e deterrenti atte a scoraggiare e ad arginare definitivamente con pene adeguate il dilagante e silente fenomeno del mobbing, inteso in tutte le sue forme più abbiette, come invece accade nel resto dei paesi d’Europa. Vediamole in sintesi: il mobbing è un insieme di comportamenti definiti violenti. Si tratta di veri e propri abusi psicologici manifestati sotto forma di angherie, dispetti, vessazioni, emarginazione, umiliazioni, maldicenze e ostracismi perpetrati da parte di colleghi nei confronti di un lavoratore.Questo comportamento, prolungato nel tempo, può essere lesivo della dignità personale e professionale nonché della salute psicofisica della vittima. Il bossing o job-bossing è simile al mobbing, si differenzia dal fatto che viene messo in atto da un vertice aziendale verso un subordinato. Si tratta di una persecuzione tecnicamente affinata nei minimi dettagli, spesso con la complicità di altri attori vili e consenzienti, che mira a porre una persona nelle condizioni di doversi licenziare per alleviarsi le pene che subisce. Lo straining è un conflitto che si svolge sempre sul posto di lavoro, ad opera di persone che ricoprono ruoli di comando e si caratterizza prevalentemente con isolamento forzato, demansionamenti, mancato aggiornamento delle normali pratiche di lavoro, dal telefono che viene tolto definitivamente dalla scrivania, attacchi alla reputazione della persona e molestie sessuali.Chi riceve queste disdicevoli attenzioni, difficilmente trova la forza di denunciare il persecutore proprio per il fatto che la legge non garantisce alla parte lesa la necessaria protezione così come accade per altri crimini più noti. Complice anche la difficoltà di dimostrare fatti che, nel diluirsi del tempo, perdono sempre più di particolari utilissimi in fase dibattimentale. Per tale motivo la vittima deve necessariamente avvalersi della consulenza e assistenza di un legale e prendere nota scritta, nel dettaglio, di tutto quanto gli viene perpetrato, citando luoghi, testimoni presenti, date e orari. Purtroppo si tratta ancora di una zona franca del crimine dove persone senza scrupoli né morale si muovono indisturbati, certi di non essere mai colpiti dalla legge proprio perché si tratta di fatti che moltissimi subiscono ma che poi non vengono denunciati.
La legge 81, seppur ancora inadeguata, sembra aprire uno spiraglio di speranza. Siamo sempre troppo lontani dalla tutela vera e propria. Il mobbing è un crimine contro la persona, è un modo vigliacco di uccidere ed annientare lentamente il predestinato. Va anche considerato che si tratta di una spesa che viene accollata ingiustamente alla collettività. Le cure che deve subire un mobbizzato sono dispendiose, e lunghe: dalle sedute psichiatriche e psicologiche agli psicofarmaci, al reinserimento nel lavoro, per poi finire con le spese legali per la difesa. Un’assurdità è che la stessa INAIL ritiene ilmobbing un danno da lavoro mentre è pura opera volontaria di un individuo contro un altro.
Non bisogna assolutamente abbassare la guardia ma combattere, denunciare e portare in tribunale coloro che cagionano le angherie legate a questa pratica deplorevole. Raccogliere quanto più materiale sia possibile, anche le registrazioni audio servono per inchiodare questi personaggi che meritano assolutamente solo il carcere, senza condizionale. Chi non ha provato sulla propria pelle questo tipo di violenze, non riesce neppure lontanamente ad immaginare quanto devastanti siano e su quante altre realtà si ripercuotano: dalla famiglia, alla vita privata, agli amici, alla psiche, all’autostima.
Alcune aziende, spesso ignorano che alcuni di quelli che si ostinano a chiamare "responsabili", pratichino vessazioni ai loro dipendenti. Quando se ne accorgono tentano in modo vile e subdolo di correre ai ripari. Cercano di creare le condizioni che in tribunale gli possano concedere qualche attenuante. Ormai il danno è fatto. La legge dice che le aziende che non hanno saputo monitorare su tali comportamenti devianti dei loro dirigenti e/o dipendenti, pagheranno l’adeguato risarcimento alla vittima.
La prima cosa da fare è quella di non lasciarsi intimorire, rivolgersi ad un legale possibilmente specializzato in cause di lavoro e farsi certificare il mobbing, il bossing o lo straining secondo il metodo Ege 2002, questo è determinante in fase dibattimentale. I professionisti in Italia che possono relazionare in tale direzione non sono molti ma ci sono e vale assolutamente la pena di consultarli. Esistono centri convenzionati con le ASL in grado di misurare e redigere il grado di stress da lavoro che un individuo ha subito. La consulenza di uno psicologo del lavoro, le certificazioni e la denuncia del mobbing sono passi fondamentali per dire basta ad una pratica che non fa e non deve far parte del mondo del lavoro, bandita dal resto dei paesi d’Europa.






Paolo Maria Coniglio
















I Commenti dei Lettori:







di Gabriele , 17 ottobre 09:27 - Bossing, mobbing, straining: il silenzio degli innocenti
mi occupo di tematiche di disagio lavorativo e di devianza minorile ed ho messo online la mia esperienza al sitohttp://www.sportellomobbing.it/cliccand sul logo di slideboom sulla homepage si apre una pagina web con una serie di video didattici di cui alcuni riguardantile attività di prevenzione e di contrasto del fenomeno del mobbing atttuate nella Regione Marche dal Comitato Paritetico sul fenomeno del Mobbing. Inutile dire che mobbing bossing......si arginano solo con la prevenzione a volte le persone non hanno la percezione dei danni che alcune loro malevoli azioni sul luogo di lavoro possono creare.


di Silvia , 17 ottobre 12:05 - Bossing, mobbing, straining: il silenzio degli innocenti
Vi segnalo il sito del Dottor Alessio Fanelli che è uno dei professionisti in grado di certificare il mobbing secondo lo standard segnalato nell’articolo:http://www.consulenza-mobbing.it/index.htmIl mobbing è uno stupro psicologico, psichico. Non deve passare impunito!Grazie


di Ricky , 17 ottobre 14:37 - Bossing, mobbing, straining: il silenzio degli innocenti
Condivido in pieno quanto hai esposto, tra l’altro in maniera molto chiara e di facile comprensione. Il mobbing, il bossing ecc. sono violenze che non sono paragonabili ad uno stupro, ma lasciano comunque un grave segno sulla stabilità psicologica di chi ne è stato vittima. E’ soprattutto lo stato di impotenza che poi porta ad una frustrazione che può creare problemi influenzando così la stabilità della persona e che non è circoscritta al solo orario di lavoro, ma si riperquote anche a casa, con gli amici ed i famigliari. Ed è anche vero che mancano gli strumenti legali per combattere questa piaga, come non ci sono nemmeno gli strumenti legali che permettano ad un datore di lavoro di sbarazzarsi o di punire in modo adeguato i "fannulloni". Ma i nostri giudici e legislatori hanno altro a cui pensare. Non ci resta, chi da una parte e chi dall’altra, che combattere da soli queste battaglie.Ringraziamo lo stato e continuiamo a pagare le tasse.


di pv21 , 17 ottobre 17:34 - Bossing, mobbing, straining: il silenzio degli innocenti
Tutti argomenti gravi e seri, ma non si può sperare di difendersi quando ... la diffamazione e l’intimidazione diventano strumenti di lotta politica (in nome di democrazia e libertà). La prima risposta deve nascere dalla rivincita dello spirito democratico. Questo insegnano Le voci dentro l’eclissi di personaggi simbolo di rigore, coerenza, senso di responsabilità ed impegno civile. Questo si può ricavare dalla storia de Il Barbiere ed il lupo e dalle cose impensabili che può far fare la paura. (c’è di più => http://forum.wineuropa.it/


di ballon , 17 ottobre 20:16 - Bossing, mobbing, straining: il silenzio degli innocenti
Una sola rettifica al tuo interessantissimo articolo: il titolo.Il silenzio non è mai innocente. denunciare, denunciare, denunciare.


di Elsa67 , 17 ottobre 22:29 - Bossing, mobbing, straining: il silenzio degli innocenti
Mi dispiace dissentire parte del commento del lettore Ricky. Il fatto di avere un dipendente fannullone non autorizza nessuno ad utilizzare comportamenti riprovevoli. Esistono sistemi democratici ed umani per affrontare il problema, sempre che un’azienda ne sia all’altezza. All’origine di un comportamento esiste sempre una causa che va individuata e che da sola fornisce una risposta, una soluzione. La giustizia sommaria non deve esistere, la morale non deve diventare giustizia! Il nocciolo del discorso non è questo. Il mobbing, inteso in tutte le sue forme, non viene praticato ai fannulloni solamente. Io subisco mobbing da molti anni e lo sto combattendo esattamente come il giornaista ha descritto. Io non sono una fannullona. ho sempre lavorato sodo per l’azienda in cui presto il mio servizio, ed ho sempre cercato di emergere mettendo in mostra le mie capacità e le mie performance lavorative, prima di chiedere qualunque aumento di livello o economico. Il problema è che faccio ombra ad un "kapò" che ha solo l’istinto dell’affre e null’altro. Tanto di cappello, sono persone preziose nel lavoro ma io ho comunque diritto alla mia carriera, non credi? A parte le leggi che mancano indubbiamente, nelle aziende, soprattutto quelle del nord-est, quelle del miracolo economico, manca alla base una cosa fondamentale: il rispetto e la cultura. Ho colleghe molestate con proposte di incontri sessuali, umiliazioni che mi sono state raccontate con le lacrime agli occhi. Nessuna prova! Il "vile porco", perchè di questo si tratta, si chiude in ufficio, dove le orecchie dei colleghi non arrivano e non sempre si ha un registratore a portata di mano. Forse in questo momento la morale potrebbe diventare giustizia! Forse solo nel caso in cui, dopo oltre un decennio di vessazioni, umiliazioni, demansionamenti e mortificazioni quando una persona in border line si reca al lavoro e commette una strage, come accade negli Stati Uniti d’America, ebbene forse solo in quel momento il legislatore, l’opinione pubblica inizierà ad interrogarsi. Mi auguro che ciò non accada mai. Auspico chei giudici, nella loro grande esperienza e lungimiranza, infliggano pene economicamente sempre più onerose e che mettano in ginocchio questi surrogati umani una volta per tutte.


di Silvana , 21 ottobre 12:39 - Bossing, mobbing, straining: il silenzio degli innocenti

Considerazioni su Mobbing e mafiosità

Allorquando in un’azienda, apparentemente sana, chi detiene le leve decisionali è un gruppo di potere, che comprende, tra l’altro, i così detti “colletti bianchi”, le regole “tacite” di comportamento, che si instaurano in esso, rispondono spesso a logiche clientelari, che ruotano attorno all’abuso di ufficio e sfociano in atti discriminatori; dette logiche si ispirano, insomma ad una deontologia finalizzata a svuotare di significato concetti quali dignità umana, solidarietà e trasparenza, che rimarranno sterili parole.
In tale contesto diventa estremamente facile adottare tutte quelle figure sottili e subdole di violenza psicologica, miranti a distruggere e ad annientare un lavoratore “scomodo” al fine di “addomesticarlo” per piegarlo alla volontà di chi “decide”, il quale sa di poter contare sul silenzio omertoso dei colleghi che tacciono o perché conniventi o per paura di possibili analoghe ritorsioni. Ove è possibile, quindi, avvalersi delle più svariate forme di persecuzione e terrorismo psicologico nei confronti di un essere umano, la vittima prescelta o si piega alle regole “tacite e immorali”, fissate da chi effettivamente comanda o è destinata ad essere estromessa solo perché considerata “diversa”. La vittima si trova, pertanto, impotente a reagire ai suoi aguzzini.
Il configurarsi di una siffatta situazione nell’ambiente lavorativo, con un termine moderno, viene definito con la parola “mobbing”, il quale – secondo i dizionari più aggiornati – è illustrato come “ sistematica persecuzione, esercitata sul posto di lavoro da colleghi o superiori nei confronti di un individuo, consistente per lo più in piccoli atti quotidiani di emarginazione sociale, violenza psicologica o sabotaggio professionale, ma che può spingersi fino all’aggressione fisica”. Ma per capire la realtà di questo fenomeno criminale, occorre leggere le testimonianze rese dalle vittime e i conseguenti danni “esistenziali” ormai ben illustrati da psicologi, sociologi e giuristi negli appositi siti tematici, a cui si rimanda. Mi sorge il sospetto che la parola mobbing sia stata coniata al solo scopo di evitare di etichettare quali comuni delinquenti, tutta la massa di “persone rispettabili” che, abusando del loro potere, distruggono la vita di uno o più lavoratori; per distruggere una vita non serve un cadavere, ma il mobbing è, anche, una “istigazione” al suicidio!
Ho accennato ad un contesto verosimilmente mafioso: tenterò di dimostrarlo. Prendiamo il caso del “pizzo” richiesto dalla mafia. Chi vuole lavorare “tranquillo” deve pagarlo e i mafiosi, per far cedere il negoziante alla loro prepotenza, porranno in essere nei suoi confronti una violenza psicologica, ammantata da tutti i crismi della legalità. Prima di passare ad azioni “eclatanti”, che attirerebbero l’azione delle Forze dell’Ordine, lo faranno sentire costantemente controllato, spiato, gli faranno ricevere telefonate anonime, “sorprese” sgradite, che finiranno per sfibrarlo al punto tale che il commerciante “impaurito” dovrà scegliere se cedere al pagamento del pizzo pur di avere una vita tranquilla o sbaraccare e trasferirsi in altra città o resistere privo della solidarietà degli altri, che invece pagano.
Ma qualunque decisione pigli, il suo “tempo” trascorso con il timore di un attentato non è vissuto con uno stato d’animo analogo a quello di chi ha paura di un licenziamento, se osa reagire ad ogni forma di abuso di ufficio? Il timore di essere isolato, emarginato, demansionato, deriso, umiliato, svuotato da ogni competenza, reso inutile, la consapevolezza del proprio senso di impotenza, la “paura” delle conseguenze derivanti dalla rivendicazione dei propri diritti non finiscono col rendere gli uomini schiavi dei loro aguzzini? La sofferenza nascente da condizioni di vita disumane, imposte da chi vuole piegare i suoi simili alla propria volontà, è identica sia nel caso di mobbing, che in quello del ricatto nel pagamento del “pizzo”. Trattasi sempre di violenza psicologica, tortura psicologica. Ma il prezzo che paga chi rifiuta di assoggettarsi alla logica mafiosa ossia il dipendente che va controcorrente solo perché non è disponibile a diventare uno “yes-man” non è la morte fisica. Contro di lui saranno utilizzate armi più sofisticate, che non lasciano cadaveri, ma che tendono ad annientarlo interiormente: le armi psicologiche, che mirano alla sua “morte civile”!!!.
Soprusi, prepotenze, violenze psicologiche sono le prime armi della mafia, che sa di poter contare su silenzi omertosi nascenti da complicità o da vigliaccheria: non sarebbe necessario, quindi, il “morto” per incriminare tutti quei delinquenti che hanno scelto un tipo di vita, che prevede l’azzeramento di quella differenza che distingue un uomo da un animale.
Allora quando tali “armi silenziose” vengono usate in un’azienda, mi sembra corretto dire che in quella azienda c’è mafia e mafioso è chi adotta il metodo della violenza psicologica ai danni di un soggetto più debole pur di raggiungere i suoi fini. Se mafioso è il “picciotto” che si limita a chiedere il pizzo perché previsto dall’organizzazione criminale cui si è integrato, mafioso è anche colui che pone in essere un’azione mobbizzante perché consentita dall’occulto e criminoso sistema aziendale, nel quale peraltro si sente integrato. Nessuno dei due ha utilizzato una pistola per raggiungere il suo obbiettivo, ma sia il picciotto sia il mobber hanno contribuito con il loro comportamento al massacro di un essere umano. Un tempo la parola mafia veniva sussurrata e molti ne disconoscevano la sua stessa esistenza, non capendone il suo significato. Per emergere il fenomeno nella sua drammaticità la storia ha dovuto registrare tante vittime; lo stesso sta avvenendo col fenomeno del mobbing.
Impostato in questi termini diventa possibile dare una risposta soddisfacente alla sete di giustizia della moltitudine di mobbizzati oggi esistenti. Gli studiosi del fenomeno hanno, ormai, ben inquadrato la dinamica e le conseguenze del “calvario” subito da tanti lavoratori, ma, ad oggi, non sono ancora stati individuati gli strumenti legislativi necessari per fare giustizia.
Attualmente è previsto solo un indennizzo economico pagato dall’azienda (persona giuridica); ma i veri colpevoli (persone fisiche) non “pagano” per le loro colpe, né economicamente, né penalmente e pertanto, nonostante la sentenza di condanna per mobbing, rimangono liberi di continuare ad adottare nei confronti del mobbizzato ogni forma di tecnica persecutoria. Il mobbizzato riceverà solo dei soldi quale risarcimento di un “passato” distrutto, ma il suo “presente” e il suo “futuro” continueranno ad essere una prosecuzione del suo passato d’inferno!
Laddove emergono casi di mobbing solo un lavoro certosino delle Autorità Investigative potrà far emergere il peso di tutte le responsabilità dei vari soggetti, che hanno contribuito con il loro agire o “non agire” alla distruzione della vita di un essere umano. Per estirpare questo fenomeno dalla società in cui viviamo non serve la sola prevenzione, poiché qua ci troviamo dinanzi a comportamenti posti in essere da chi si è già venduto la sua coscienza per non dover provare il rimorso di aver contribuito, con la sua azione o il suo silenzio, al massacro di un collega.
Il mobber, divenuto siffatto essere umano, ritiene di non aver fatto nulla di grave, non ha sensi di colpa, crede di operare nell’interesse aziendale, non prova minimamente ad immedesimarsi nella vittima dell’azione persecutoria. Le regole aziendali prevedono certi “comportamenti” che nessuno ha mai sanzionato; fanno parte del gioco. Ha fatto la sua scelta: “mors tua, vita mea”. E chi tace o è connivente o si sente giustificato dalla paura di ritorsioni.
Chi ha messo un bavaglio alla propria coscienza ha dimenticato che ogni regola fissata dagli uomini dovrebbe sempre sottostare all’etica fissata dalla voce della propria “coscienza”; la quale impedisce di calpestare la dignità di un proprio simile e grida dinanzi ad ogni forma di ingiustizia, richiamando l’uomo nel suo percorso naturale di essere umano per distoglierlo da quel sentiero che lo potrebbe portare allo stato di animale.
Nelle aziende ove l’etica della mafiosità impera tramite tutti quei comportamenti che identificano il mobbing, rimanere “uomini” potendo guardare negli occhi chicchessia, senza strisciare al cospetto di nessuno, significa assistere impotenti alla distruzione della propria vita, intendendo per vita quel mondo interiore nel quale ciascuno di noi coltiva i propri desideri, sogni, ambizioni, innaffiandoli di entusiasmo e gioia di vivere, ma che, a seguito del mobbing subito, è diventato un bacino di enormi sofferenze, un grande vuoto che ha trasformato ogni impulso interiore in sete di giustizia.
Ritengo che per fare giustizia, (in presenza di un vuoto legislativo e nell’attesa di una legge ad hoc, che sancisca la perseguibilità penale di tale tipo di reato), la magistratura giudicante, tramite un’interpretazione estensiva delle norme civilistiche, penali e costituzionali già esistenti nel panorama legislativo, potrebbe inquadrare come reato di mafia il c.d. mobbing.
Dare l’auspicata rilevanza penale al mobbing significherebbe etichettare come delinquenti tutti coloro che, nonostante il loro “perbenismo”, hanno partecipato al massacro della vittima prescelta. Le conseguenze penali sarebbero da monito per tutti, risveglierebbero molte coscienze assopite; un puntuale e certo intervento di adeguati strumenti di repressione è il migliore strumento di prevenzione in un sistema ove si voglia far funzionare la giustizia.
Inquadrando il mobbing come reato di mafia la vittima avrebbe, altresì, la soddisfazione di essere risarcita economicamente dai suoi stessi aguzzini, che si vedrebbero aggredito il proprio patrimonio, ivi compreso stipendio, T.F.R. Comprovata la sussistenza di una fattispecie di mobbing, il giudice competente dovrebbe automaticamente passare la pratica al Tribunale Penale per l’individuazione di tutti i responsabili. Si tenga presente, infatti, che molte volte la strategia del mobbing è articolata in modo da frammentare le responsabilità su più individui, al fine di non consentire alla vittima di poter perseguire penalmente i vari “mobbers”. Ognuno di loro assume, invero, comportamenti che potrebbero apparire leciti e insignificanti, ma che assumono rilevanza solo se considerati come un tassello di un processo devastante ai danni del mobbizzato, che può emergere solo nell’ambito di un’indagine tesa ad individuare le responsabilità dirette ed indirette di tutti coloro che hanno contribuito al massacro di un essere umano, che voleva semplicemente lavorare onestamente.
Ma occorre anche dare alla vittima la possibilità di ricominciare a vivere. I mobbizzati si trovano in condizioni psicologiche analoghe ai sopravvissuti di un “lager”; sanno di essere soli e impotenti, di essere considerati inutili, sono persone sfiduciate nei confronti del loro prossimo, rimasto sordo ad ogni richiesta di “aiuto”, sono esseri umani che vanno aiutati a reinserirsi in un ambiente lavorativo accogliente e stimolante, che non dia spazio a coloro che non danno alcun valore alla dignità umana. La Giustizia deve preoccuparsi di ricostruire la loro professionalità, di riqualificare la loro immagine e di riparare tutti i danni esistenziali provocati loro anche al di fuori del contesto lavorativo. I mobbizzati che reclamano giustizia hanno ferite invisibili, che potranno cicatrizzarsi solo allorquando percepiranno intorno a loro quel clima di fiducia, che impedisce di vedere nel proprio interlocutore un potenziale vessatore.

Silvana Catalano

venerdì 25 settembre 2009

Cinema, "Terre rosse": quando la passione diventa Arte





Il lungometraggio “Terre rosse” per la regia di Dennis Dellai, è passato giovedì 24 settembre, per il Cinema Teatro Super di Valdagno, marcando così la quarantaduesima proiezione. Il film, girato interamente nel vicentino, tra Fara e Thiene, è stato liberamente tratto dall’omonimo racconto di Flavio Pizzato, ex capo partigiano ed ex sindaco di Thiene. Alla proiezione a Valdagno, oltre al regista Dennis Dellai, erano presenti anche lo sceneggiatore Giacomo Turbian, l’attore ed aiuto regista Davide Viero ed il maestro di musica Paolo Agostini che ha curato la colonna sonora.
Terre rosse” è stato ospite al Festival del Cinema di Venezia, fuori concorso, apprezzato anche da Nicholas Cage, il quale ne ha voluta una copia. La pellicola è stata ambientata nel 1944 e narra di una storia d’amore impossibile che vede protagonisti, rispettivamente Davide Fiore nel ruolo di Umberto Simonetti, uno sfavillante funzionario fascista che lavora per il ministero della Repubblica Sociale Italiana e la bellissima e brava Anna Bellato nei panni di Luisa De Nardi, una maestrina elementare che per aumentare il suo punteggio, chiede il trasferimento da Verona per prestare il proprio servizio presso la piccola realtà di Farneda, ospite presso una casa di partigiani. Luisa verrà in seguito coinvolta nella resistenza. Le vicende della guerra renderanno difficile l’amore tra i due giovani.
Tutte le scene seguono un’armoniosa sequenza che trasmette a tratti emozione e commozione, gioia e malinconia. La colonna sonora si amalgama tra i fotogrammi con discrezione ed intelligenza valorizzando al punto giusto le scene. Il film è stato straordinariamente portato a termine con un budget di soli 19.500,00 €. Se la medesima opera fosse stata realizzata negli Stati Uniti d’America non sarebbero bastati dieci milioni di euro.
Oltre alla travolgente e commovente storia narrata, che esprime parte della fantasia del regista miscelata armoniosamente al racconto di Pizzato, emerge anche la volontà e determinazione di un gruppo di appassionati che scommettendo su se stessi hanno dedicato l’anima utilizzando puro genio. Il risultato prodotto è di elevata qualità e non ha nulla da invidiare a pellicole d’oltre Oceano molto più costose.
Il regalo che il cast di Dellai ha fatto per il Veneto e non solo, sintetizza lo spaccato di un segmento di storia che ci appartiene interamente che non vogliamo e non dobbiamo dimenticare.
Il percorso di questi appassionati cineasti, durato tre anni di riprese, dovrebbe essere d’insegnamento ed aprire così un nuovo orizzonte a chi, con poca spesa, desidera realizzare un sogno destinato a rimanere una pietra miliare nel tempo.
Il DVD è ricco di contenuti interessanti ed è possibile acquistarlo tramite il sito internet http://www.terrerosse.org/.
118 minuti appassionanti da vivere e condividere assieme al resto della famiglia.
Le prossime date di proiezione sono il 27 ottobre presso il Cinema Valbrenta di Solagna ed il 18 e 19 novembre presso il Cinema Primavera di Vicenza.





Paolo Maria Coniglio

domenica 20 settembre 2009

Lettera a Roberto Valente e ai ragazzi caduti a Kabul


L'Italia assurda che combatte ed argina le guerre intestine come le Brigate Rosse, le mafie, la delinquenza in genere, le bande sovversive politiche che da tempo cercano di destabilizzare il nostro paese. Tutti nemici visibili, palpabili. Ora i nostri politici hanno deciso di combattere i nemici invisibili a spese dei nostri connazionali. Vorrei vedere che i nostri politici ci mandasero i propri figli in queste terre tormentate a rischiare la vita. Noi civili, che assistiamo inermi e impotenti a queste stragi annunciate, abbiamo il dovere di esprimere il nostro sentimento, il nostro dissenso affinchè questo sangue smetta all'istante di essere versato.
Ancora oggi le Guerre non ci hanno ancora insegnato che non si può imporre ad un Popolo una volontà differente da quella dettata dalla loro determinazione. La Guerra del VietNam ha insegnato e non solo quella. La rivolta deve partire dall'interno per scelta, com'era accaduto nel Nostro Paese con le varie fazioni di Partigiani. Politicamente diverse ma ognuna con un'unico obiettivo: liberare l'Italia. Se non esistono queste minime condizioni non è possibile pensare di armare ribelli per ottenere una Democrazia che sarà costellata di violenza. La Democrazia è una Signora cui dobbiamo dare del Lei. Imporla a certi Popoli è come dare una Ferrari da Formula Uno in mano ad un ragazzino.
Ed ora, dopo questo attentato devastante che cosa dire? Solo il silenzio dovrebbe parlare, ma ora basta!

Grazie Roberto per il sacrificio che hai fatto per l'Italia, per tutelare il sogno di libertà.
Personalmente non condivido l'intervento "pacifico" dell'Italia nei paesi dove c'è la guerra. Paesi la cui cultura è lontanissima dal rispetto altrui e quindi dall'embrione della LIBERTA'. Noi le nostre guerre le abbiamo già avute, il sangue lo abbiamo già versato. Siamo obiettivi troppo facili per chi vuole colpirci, alimentando gratuitamente il fanatismo di persone prive di senso civico, accecate dall'integralismo religioso. Gente vigliacca e nascosta nell'ombra. Le Guerre Mondiali, in particolare la lotta al nazismo e al fascismo erano raffigurate da nemici palpabili, visibili. I talebani, nascosti all'ombra dei civili, combattono una guerra subdola e che soprattutto non ci appartiene. Nei loro attentati salta per aria un pezzo valoroso e glorioso d'Italia assieme ad un sacco di civili innocenti ed ignari. Bambini, donne, anziani ma questo per loro senza rispetto va bene. Per noi italiani questo non va bene! Ho avuto un nonno prima soldato e poi partigiano, mio padre era ufficiale durante la Seconda Guerra Mondiale e non credo che avrebbero voluto ascoltare queste notizie.
Abbraccio la tua famiglia, Roberto, con gesto fraterno e con le lacrime agli occhi, mortificato dall'impotenza che mi pervade ora. Sono orgoglioso di essere italiano grazie a persone valorose come te, eroi veri in tempo di pace ma perdona la mia delusione di essere rappresenatato da una classe politica, indipendentemente dal colore, che nonostante il nostro passato di enorme sacrificio si ostina a mandare al macello ragazzi d'oro, padri di famiglia, amici veri senza offrire loro opportunità concrete di lavoro. Mi unisco anche al dolore di tutte le famiglie degli altri ragazzi che hanno perso la vita ed in silenzio piango, assieme alla mia famiglia, con Loro.

Paolo Maria Coniglio

venerdì 21 agosto 2009

All'ombra degl'ippocastani

















In tutti i miei blog e non solo, si parla del mio ultimo libro dal titolo "All'ombra degl'ippocastani", edito dalla Casa Editrice Albatros Il Filo, distribuito da Ugo Mursia. In questo blog, vorrei aggiungere alcune notizie circa questo libro, che non si trovano da nessun altra parte.



La Storia:


La stesura di questo testo è iniziata per scherzo, all'incirca nell'estate del 1993. Era una giornata abbastanza calda ed io abitavo ancora a Lonigo, in centro. Ricordo che quel mattino avevo una gran voglia di scrivere qualcosa, una smania vera e propria. Raccolsi per casa alcuni fogli A4, circa una ventina e li pinzai assieme con una graffettatrice.

Mia moglie, per il compleanno, aveva ricevuto in regalo una stupenda matita da 0,5 mm della Rotring, totalmente in alluminio leggerissimo che coadiuvava la scrittura in modo impeccabile. Gliela chiesi in prestito. Sedetti sulla panca sotto alla pergola di passiflora che avevo nel giardino dietro casa ed iniziai a scrivere.

Volevo regalare al foglio qualcosa di particolarmente bello. Qualcosa che restasse nel tempo, anche se non avevo ancora realizzato la possibilità di farne un libro. Non una banalità o un racconto fra tanti ma una storia che coinvolgesse ed incuriosisse il lettore, magari un fatto vero che avrei interpretato immedesimandomi in qualche personaggio.

Pensai così ad un evento che in qualche modo avevo vissuto, anche di riflesso, e cercai di viverlo con tutte le sensazioni e le emozioni che mi fu possibile. Profumi, colori, particolari, immagini e ricordi iniziavano lentamente a prendere forma nella mia mente. Sentivo che ogni volta che andavo avanti nella stesura c'era qualcosa in me che stava crescendo in modo esponenziale a beneficio del lettore. La cosa straordinaria fu che non riuscivo a capacitarmi di essere io l'autore delle parole che andavo scrivendo. Rileggevo e mi innamoravo delle mie stesse parole. Ogni nuovo stralcio che regalavo al foglio lo facevo leggere a qualcuno per avere un riscontro. Mi avvalsi in prima istanza del parere di persone a me vicine, poi, non contento e sospettando una forma di campanilismo senza freno, scelsi persone che conoscevo appena, poi estranei.

Ogni critica era estremamente positiva e mi si incoraggiava a continuare.

Gli sviluppi:


Erano da poco trascorsi tre anni quando pensai che la mia opera fosse terminata. Iniziai a rileggerlo una prima volta e lo sconvolsi radicalmente.


Questa fu un'operazione che si ripetè almeno una ventina di volte, senza esagerazione. Dopo molte revisioni mi fu suggerito di fare leggere il racconto a qualcuno che potesse avere voce autorevole nella letteratura.


Passai lo scritto all'ex giudice e scrittore Bruno Meneghello, fratello del più famoso Luigi. Lo lesse e mi lasciò anche una recensione scritta oltre a molti suggerimenti per tentarne la pubblicazione. Seguii molti dei suoi consigli.


Il gatto e la volpe:


Dopo avere inviato il mio scritto ad una quindicina di case editrici, in giro per il Bel Paese e non ottenendo quasi alcuna risposta decisi di rivolgermi ad alcuni editori locali. Tra tutte le case editrici importanti ebbi una risposta lusinghiera dalla Donzelli, che per voce di Lisa Ginsburg in persona mi disse che avrebbe preso in mano il mio scritto subito dopo le ferie di quell'anno e mi invitò a richiamare. Così feci ma dopo le ferie alla Donzelli era cambiato qualcosa, la signora Ginsburg non c'era più e chi si doveva occupare della lettura dei testi inviati, non aveva certo la sua dolcezza ne predisposizione ai rapporti sociali. Un giorno mi ritrovai ad una festa di una nota azienda del Veneto, una multinazionale, di quelle che una volta l'anno aprono le porte alla gente comune. In quest'occasione conobbi un paio di personaggi che per discrezione e decenza preferisco chiamare il "Gatto e la Volpe". In pochi minuti si instaurò una specie di amicizia e di scambio di idee e opinioni che si consolidò in seguito. Fui lusingato ed incuriosito poichè il Gatto e la Volpe mi raccontarono che avevano mani in pasta in una casa editrice locale. Era tutto vero! Lessero i miei scritti e ne rimasero colpiti, il Gatto particolarmente insisteva nel dirmi che il mio era un capolavoro, degno di un Bassani, che bisognava fare di tutto per pubblicarlo. In tre mesi ricevetti da lui qualche centinaio di telefonate tutte, paranoicamente, con lo stesso tema: "è stupendo, mi sembra di leggere " Il giardino dei Finzi Contini", in questo libro c'è l'anima e la si sente tutta".

Un bel giorno la Volpe mi chiese di poter fare leggere "All'ombra degl'ippocastani" ad un attempato signore vicentino che dicono, sia uno scrittore o si atteggi a tale. I due compari erano decisi a pubblicare il mio libro, era solo questione di breve tempo. Insistevano! Mi criticarono il titolo del libro, dicendo che somigliava ad un testo di poesiole per innamorati e che andrebbe decisamente cambiato. Tutto questo mentre il mio libro era in parcheggio ed in seguito capii il perchè. L'attempato scrittore pubblicò grazie al Gatto e la Volpe un suo libro, guarda caso molto simile al mio soprattutto nelle caratteristiche descrizionali di personaggi tipici di paese.


La pubblicazione:


A dicembre del 2008 ho inviato il mio lavoro alla casa editrice che l'ha pubblicato. A fine febbraio ho ricevuto per posta il contratto. Ai primi di aprile 2009 è iniziata la mia avventura con l'Editor e dopo circa un mese con il Grafico, due persone eccezionali ed altamente professionali. Tutto lo staff della casa editrice è di altissimo livello e la collaborazione che offrono è encomiabile. Oggi il mio libro lo si può trovare presso tutte le librerie d'Italia. Sarà presente al Book Festival di Pisa e alla Fiera del Libro di Torino. Dal 28 al 30 agosto sarà presentato a Libriamo2009, a Vicenza ed è stato iscritto ad un premio nazionale. Maggiori informazioni si possono attingere dal sito costruito appositamente dalla Casa Editrice Il Filo oppure presso il mio blog.

Obiettivi....


Il mio obiettivo ora è quello di presentare il libro in quanti più posti mi sia possibile. La recensione del Critico Cinematografico, Michele Serra, ha in realtà toccato un sogno che da tempo coltivo: la realizzazione di un film.


Dennis Dellai, regista di Terre Rosse, leggerà "All'ombra degl'ippocastani" con l'auspicio che veramente ne nasca un film. Sono certo che le idee che ho in mente e la genialità di un regista come Dellai possano fondersi in un crogiolo per realizzare un'opera importante, legata al territorio e che soprattutto resterà nella memoria storica del Veneto come "I piccoli Maestri" oppure come "Il prete bello".

Ho per lungo tempo cercato di rintracciare Carlo Mazzacurati e Daniele Luchetti per proporre loro la medesima idea ma non sono stato in grado di mettermi in contatto con loro. Ho impiegato quasi sedici anni per raggiungere la pubblicazione del libro. Adesso se ne serviranno altrettanti per farne un film sono pronto! Mi rimboccherò le maniche.



Paolo Maria Coniglio



giovedì 20 agosto 2009

La Voce Liberar Bandito e il Pentitismo Moderno



Nel periodo storico attorno all’anno 1500, bande rivali mettevano il terrore nei vari paesi. Nel 1574, con la legge sul flagrante crimine, il Consiglio dei Dieci Magistrati di Venezia aveva deciso di intervenire con una politica criminale più incisiva.
Fino a tale momento l’intervento del Consiglio Dei Dieci era stato sporadico e basato sul dialogo. L’instabilità dell’ordine pubblico aveva indotto il massimo organo politico giudiziario a correggere l’attività dei tribunali locali, anche su pressione di vari ambasciatori inviati a Venezia da Brescia e dalla Riviera di Salò con la richiesta di un pronto intervento contro delitti e banditismo.
Fu così inviato un provveditore straordinario ma erano solo questi interventi estemporanei a contrastare la criminalità. Presto emerse che il banditismo era legato a potenti lignaggi familiari perciò nel luglio del 1578 tutti i forestieri “che servono a particolari per bravi (latori ed esecutori di violenza) ovvero che accompagnano qualsivoglia sorte di persone particolari con arme”, vennero invitati ad allontanarsi dallo stato, pena l’impiccagione.
L’episodio che innescò la reazione del Consiglio fu probabilmente l’uccisione di un membro della famiglia Piovene ad opera di Orazio Godi, appartenente ad una casa rivale. Nel 1579 erano ancora i tribunali locali a concedere la “voce liberar bandito”. Ad esempio se uno commetteva un omicidio, era ricercato ma se a sua volta uccideva un altro con altri omicidi sulle spalle, invocava la “voce liberar bandito” ed era scagionato, invocabile anche presentando la testa mozzata del bandito ucciso al fine che fosse riconosciuta presso la pietra del bando che esisteva in ogni città. Un breve processo tramite testimoni attestava l’identità del bandito e l’effettiva uccisione da parte dei richiedenti la voce.
Nel cuore del 1500 il modo lento e a volte discutibile della macchina della giustizia adottava questo sistema. Oggi a distanza di oltre mezzo millennio la giurisprudenza non cambia cliché, un tempo si chiamava “voce liberar bandito”, la chiave moderna è “collaboratore di giustizia” due modi per pagare il prezzo con la società che nonostante gli oltre cinquecento anni che ci sono in mezzo, variano veramente di poco.








Riflessione:




Erano i nostri antenati ad avere adottato provvedimenti all'avanguardia, oppure è la nostra giurisprudenza che utilizza sistemi antichi? Abbiamo bisogno dell'aiuto dei criminali per sconfiggere il crimine. Non c'è stato progresso in tutto questo tempo? La risposta è NO! I collaboratori di giustizia, oltre ad essere stipendiati, quindi pagati con i nostri soldi, hanno la possibilità di iniziare una nuova vita, con un nuovo lavoro, una nuova identità. Non è poco direi per chi ha vissuto al margine della società commettendo orribili crimini!


Forse, se venissero messi a disposizione delle forze dell'ordine, strumenti più efficaci e meno burocrazia potremmo avere una macchina della giustizia più performante.


Finchè chi governa legifera in modo mirato per evitare le intercettazioni telefoniche invocando la privacy, finchè esiste l'immunità parlamentare, finchè le più alte cariche dello Stato non possono essere toccate durante il loro mandato, ho la netta impressione che l'esempio che viene profuso non sia di grande insegnamento.


Per i giovani, per i recidivi, per le generazioni a venire, per chi di natura è incline alla devianza, per i diversamente onesti, c'è bisogno della certezza della pena!!!








Paolo Maria Coniglio